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domenica 29 marzo 2015
un po' di indovinelli sparsi
Se lo perdi non lo cerchi, se lo trovi l’avevi già
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Tocca
a te adesso – dice l’alieno – sono tutto orecchie, ma solo per modo di dire.
Hai notato che ne sono privo? Almeno di orecchie funzionanti. Quelle che vedi
ai lati della testa sono soltanto per bellezza, mi fanno fare bella figura
nella stagione degli accoppiamenti. Posso ascoltare i rumori solo percependo le
vibrazioni della materia. E le tue labbra che parlano. E poi mi aiutano le onde
dell’aria, le avverto con la pelle delle mani…
-
L’indovinello
è questo – taglia corto il bambino – Quando
lo perdi non lo cerchi, quando lo trovi l’avevi già. Non tirare a caso per
cercare la soluzione, però. Se no non è divertente, devi sforzarti di pensare
alla risposta.
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Accidenti.
Questo è difficile – mormora l’alieno tra sé e sé. – Dunque, vediamo. Quando
incontro un dilemma e non so come affrontarlo sai cosa faccio di solito? Mi
concentro e ascolto le vibrazioni della mia anima. Ho fatto lo stesso quando mi
sono imbattuto nei cacciatori di teste sulla quarta luna del pianeta Gotom,
nella galassia UCY-323. A modo loro sono stati gentili. Mi hanno chiesto se
potevano per cortesia prelevare la mia testa dal resto del corpo, poi me
l’avrebbero restituita. Se non avessi dato ascolto alle pulsazioni del cuore forse
adesso la mia testolina imbalsamata ciondolerebbe come un ninnolo da uno dei
loro sedici colli. E l’abbellirebbe parecchio, te l’assicuro. Non solo perché è
una gran bella testa, ma perché i cacciatori di teste di Gotom sono davvero
molto, molto, molto brutti. E siccome hanno sedici teste ciascuno, è una
bruttezza moltiplicata sedici. Però per loro non è affatto un problema, anzi.
Organizzano concorsi di bruttezza, addirittura. Ma torniamo all’indovinello…
-
Aspetta
aspetta – lo interrompe il bambino – come sei sfuggito ai cacciatori di teste?
-
Facile
– dice l’alieno mentre si gratta la testa – l’anima m’ha urlato nelle orecchie
di scappare a gambe levate. Mentre loro cercavano di fermarmi sputandomi
addosso, perché è questo il loro modo di cacciare, hanno una saliva
appiccicosissima che immobilizza le prede, mi sono precipitato dentro l’astronave
e ho dato tanta energia ai motori che poco c’è mancato finissi dentro a un buco
nero.
-
Ma il
bambino non è convinto. – Penso che mi stai prendendo in giro. Quale cacciatore
se ne va in giro sputacchiando? E poi solo gli esseri umano hanno l’anima. Almeno
credo, o mi hanno fatto credere. Io ce l’ho, ma non so cosa sia. Mamma mia, è
complicato, detto così sembra un indovinello…
-
Sarebbe
un indovinello bellissimo! – esclama l’alieno – Tutti ce l’hanno anche quando non lo sanno: cos’è? L’anima! In
realtà tutto ha un’anima. Però puoi sentirla solo se chiudi gli occhi e apri il
cuore – ah, il cuore va aperto ma poi richiuso, non scordartelo, all’incirca
ottanta volte al minuto, se no smette di battere e patatrac. Potrai accorgerti
che ogni granello di sabbia, ogni goccia d’acqua, ogni miserabile lombrico,
ogni molecola di anidride solforosa e perossido di zinco, ogni cometa, ogni galassia
di questo e di tutti gli altri universi ha un’anima. C’è un’energia nascosta a congiungere
tutto quello che esiste, unisce con legami invisibili materia e anima. So che
voi uomini avete provato a chiamarla in tanti modi diversi. A questo servono le
leggi della fisica. Gli scienziati non lo sanno ma con tutti i loro sforzi tentano
solo – e come sono goffi! – di misurare l’ampiezza e la potenza di questa
vibrazione universale, e neppure la riconoscono, per questo le danno nomi bizzarri.
Forza di gravitazione, ad esempio. L’hanno trasformata in legge, con una
formula bellissima. Ogni corpo attrae ogni altro corpo tanto più intensamente
quanto più sono grossi e vicinissimi. Forse è’ per questo che alcune persone
mangiano troppo e male. Vogliono ingrassare a dismisura. Perché si sentono sole.
E sperano così di avvicinare gli altri con la loro irresistibile forza
gravitazionale, di farli ruotare attorno a sé come satelliti. Ma poi un signore
di nome Albert coi capelli ritti da scienziato pazzo scopre che anche il tempo
e lo spazio sono incatenati tra loro. E allora la pulsazione del tempo rallenta
quando ci si avvicina a un grande peso, come quello del buco nero in cui stavo
per precipitare, o di un pancione pieno che attrae panini e salsicce. O quando
si corre velocissimi per inseguire il bagliore delle stelle, come ho fatto io
con la mia astronave. Se catturi la luce fermi il tempo: lo sapevi? Il TEMPO!
E’ questa la risposta all’indovinello, giusto? Meno male che ho trovato il
tempo di risolverlo.
-
Giusto,
sei arrivato alla soluzione, magari l’hai presa un po’ larga... – ammette il
bambino a malincuore. Era divertente ascoltare le divagazioni dell’alieno.
L’alieno che viene da lontano
Il bambino che
non ha un briciolo di paura fissa l’alieno a bocca aperta. Anche l’alieno guarda
il bambino, i suoi occhi sono fissi come quelli di un pesce in un acquario, il
suo sguardo sembra provenire da un’altra dimensione. Per un attimo l’alieno si
volta indietro e osserva curioso le infermiere che hanno ripreso a parlare
sottovoce appoggiate ad una porta, proprio in fondo al corridoio.
-
Chi
sei? – domanda il bambino.
-
Questa
è la domanda più difficile che mi abbiano mai fatto – risponde l’alieno.
-
Da
dove vieni? – insiste il bambino
-
No,
mi correggo. Questa è la domanda più difficile che mi abbiano mai fatto –
risponde l’alieno
-
Non
capisco – dice il bambino – mi sembrano domande semplicissime. Quando ti
domandano chi sei rispondi col tuo nome. Io ad esempio mi chiamo…
-
Capita
spesso che ti chiami da solo?
-
No,
in effetti non mi chiamo mai da solo, sembrerei uno scemo. Sono gli altri che
mi chiamano – riflette il bambino.
-
E
perché ti chiamano così?
-
Perché
è il mio nome.
-
Perché
hai scelto proprio quel nome?
-
Non
l’ho scelto io.
-
Aspetta
allora, dimmi se ho capito bene: tu sei il tuo nome che è la parola con cui ti
chiami ma in realtà non sei tu visto che tu non ti chiami, sono gli altri che
ti chiamano, quelli che hanno scelto il tuo nome. Quindi tu sei quello che gli
altri hanno deciso tu sia. Giusto? – conclude soddisfatto l’alieno con un
sorriso trionfante che andava da un orecchio all’altro. O forse era un orecchio
che sorrideva da una bocca all’altra.
-
Sì.
Cioè no. Non lo so più. Ma tu chi sei invece? Non ci credo che non lo sai.
-
Ho
detto solo che era una domanda difficile, mica che non so la risposta. Solo che
di risposte ce ne sono tante.
-
Ma tu
sei uno solo, ci deve essere una sola risposta alla domanda “chi sei?”
-
Davvero
sulla terra è tutto così semplice? – risponde l’alieno.
-
No,
sulla terra è tutto molto complicato. Ma almeno noi terrestri sappiamo cosa
rispondere a domande come chi sei e da dove vieni
-
Sapete
rispondere. Ma non è detto che quella che date sia la risposta giusta.
-
Forse
hai ragione – riflette il bambino - Tu come risponderesti allora?
-
Io
chimicamente sono ossigeno, carbonio, idrogeno, calcio, azoto, rame, da cui
proviene il mio sgargiante color ramarro, e poi fosforo, zolfo, cloro,
potassio, sodio, fluoro, ferro, iodio, zinco e tracce di manganese cromo e
nichel. Io biologicamente sono acqua più o meno per due terzi, e poi grassi
proteine zuccheri e sali minerali. Io ereditariamente sono il prodotto di una
catena di informazioni che finora è stata trasmessa
ottocentoquattordicimilanovecentosettantuno volte di generazione in generazione
su come combinare quegli ingredienti nel minestrone della cellule che
compongono la mia incantevole entità. Io nominalmente sono quello che decido di
essere. Mi chiamo come voglio, non come vogliono gli altri. Con te adesso credo
che vorrò chiamarmi Alieno. E’ così che mi vedi, allora puoi chiamarmi così.
-
Va
bene, sei un alieno. Anzi l’Alieno. Ma non hai risposto all’altra domanda. Da
dove vieni?
-
Dipende
dal sistema di riferimento dal quale consideri mio spostamento. Vengo dal
corridoio di questo ospedale. Vengo dal tetto di questo edificio. Vengo dalla cabina
di pilotaggio della mia astronave. Vengo da un periodo in cui digerisco molto male e sento un
formicolio alla testa e un peso al cuore. Vengo da un grandissimo amore non
corrisposto. Vengo dal corridoio spazio-temporale che si è aperto grazie al
collasso della massa oscura che circonda la galassia TTNC-614. Vengo da….
-
Credo
di aver capito. Vieni da molto lontano.
L’atterraggio
Il bambino non riesce ad addormentarsi, anche se muore di sonno. Le
macchine intorno a lui ronzano dolcemente, come un alveare. Niente miele, però,
peccato. Dal corridoio una luce bianca disegna il riquadro della porta e il
riflesso sul pavimento regala spessore agli oggetti che riposano con lui nella
stanza. Ogni tanto un bisbiglio d’infermiere, come acqua che scorre. Quando
ridono piano invece sembrano colombe. Il bambino non ha paura di niente, mentre
tutti intorno a lui sembrano spaventati.
Poi d’improvviso un sibilo che sale, finché un rumore assordante fa tremare
tutti i vetri, in un fracasso di mille pentole sbattute in terra da un gigante
affamato: vibra tanto il letto che si mette a ballare per la stanza, e le luci
di tutte le macchine lampeggiano impazzite rosso-verde-bianco-giallo-blu come
decorazioni di un albero di Natale…
Cosa sta succedendo? – si chiede un po’ allarmato il bambino, che però non
riesce proprio ad avere paura. Ed è allora che scorge l’astronave fuori dalla
finestra. Simile a un drago manda bagliori di fuoco, sbuffa vapore come un
forno incandescente d’acciaieria mentre si posa goffamente a terra con le sua mille
braccia meccaniche. Il bambino s’immagina che accorrano tutti, polizia carabinieri
e vigili del fuoco, aspetta solo il rumore assordante delle sirene. Ma nessuno
sembra accorgersi di nulla oltre a lui, non accade nient’altro e il fragore si
placa poco a poco, fino a quando il suo mondo ritorna silenzioso come prima. Che
abbia sognato tutto? pensa il bambino. Anche le infermiere non parlano più.
Tutto silenzioso? Clippiti cloppiti clippiti cloppiti…. un suono come di
ciabattine che si avvicinano nel corridoio, sempre di più… clippiti cloppiti…
il bambino gira la testa verso la porta, incuriosito ma certo non spaventato, e
finalmente appare sulla porta….
Clippiti cloppiti – dice l’alieno. Ha un testa enorme e calva ed è alto
quanto una speranza – quindi a momenti microscopico, a tratti pare un colosso.
In quel preciso istante misura esattamente come cinque gatti uno sopra l’altro,
ammesso che qualcuno li convinca a mettersi in colonna. E’ quella la statura con
cui il bambino lo vedrà da allora in poi. Indossa quello che sembra un costume
da bagno scarlatto che spicca sulla sua pelle color ramarro, ha un asciugamano
da spiaggia sottobraccio, e calza due ciabattine che fanno anche loro clippiti
cloppiti quando cammina.
-
Come
hai detto? – domanda il bambino.
-
Clippiti
– ripete l’alieno.
-
Cloppiti
– conclude il bambino.
E’ così che è nata la loro amicizia.
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