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domenica 15 maggio 2016

Il diamante magico

 (una storia improvvisata assieme un secolo fa e saltata fuori da un arcaico hard disk)

C’era una volta un castello nel quale vivevano un principe e una principessa che volevano possedere un diamante magico per esaudire tutti i loro desideri. Ma che cosa desideravano il principe e la principessa? La principessa, che odiava fare le pulizie, desiderava una magia che tenesse il castello sempre in ordine, pulito e risplendente come uno specchio. Il principe invece desiderava un quaderno nel quale fossero scritte tutte le parole e le poesie d’amore che non riusciva neppure a pensare.
            Un giorno arrivò al castello un contadino che vendeva diamanti magici. Li aveva trovati nel suo campo di patate e non sapeva che farsene, perché lui aveva già tutto quello che gli serviva: una bella moglie, un bel somaro, una bella dispensa piena di cose buone da mangiare, soprattutto fagioli, e tre bei figlioli che lo facevano diventare matto da tanto che erano scatenati.
            Il principe e la principessa naturalmente ne comprano un bel po’. E funzionavano!!! Il castello era sempre in ordine, i pavimenti splendenti come vassoi d’argento. E il principe riempiva quaderni su quaderni di poesie e di frasi d’amore che facevano innamorare tutte le fanciulle cui lui le leggeva. Anche il contadino era felice, perché con i soldi poté finalmente comprarsi una crema depilatoria per eliminare i peli del naso, che aveva sempre desiderato – non i peli, ma toglierseli senza farsi troppo male.

            Un giorno arrivò al castello una fatina. Il principe le chiese una penna per scrivere frasi d’amore ancora più belle. Ma la fatina rispose: devi dirmi prima la parola magica: “pupupupu papapapa pepepepe lalalala sisisi non so quello che si fa e lalllallerolallallà”. E il principe ripeté tutta la parola magica e in cambio ricevette la meravigliosa penna. La principessa disse allora alla fatina: “io vorrei invece che tutto il castello risplendesse tutta la notte di luce magica come se ci fosse sempre una grande festa da ballo”. E la fatina rispose: “Però dovrai dire la parola magica, che è ‘fiorifiofiori stelle più stelle lune che siete belle splendenti babbo natale viene di notte soltanto quando porta un regalino ma se tu vuoi la luce magica dillo a me che sono la fatina’”. Allora la principessa ripeté la parola magica e il castello subito risplendette di luce magica. E la luce magica arrivava talmente lontano che giunsero da tutto il regno cavalli e cavalieri, muli e mulattieri, conti e contadini, maiali e maialini, ostriche e orchestrali, e ballarono la samba e il tango tutta la notte, e il principe fece innamorare tutte le ragazze, e la principessa fece innamorare tutti i ragazzi, e alla fine non si sposarono ma vissero lo stesso per sempre felici e contenti, anche se senza più denti. Scusate, ma la storia non è ancora finita. Perché indovinate un po’ chi l’ha scritta questa storia? L’ha scritta la penna magica……. con l’aiuto di viola e alberto

La storia della sirena che non sapeva nuotare come i pesci

(ripescata casualmente da un antico hard disk e da un vecchissimo racconto serale "su ordinazione")

C’era una volta una sirena che si chiamava Stellamarina. Questa povera sirena non sapeva nuotare come i pesci, perché quando era piccola un pesce gatto le aveva morso la coda, e da allora la poverina non riusciva più a nuotare bene. Le sue amiche sirene cercavano di insegnarle come si fa, anche con una coda un po’ smangiucchiata, ma lei proprio non ci riusciva.
Un giorno una fatina, di nome Dispettina, scese giù nel mare per farsi una bella nuotatina. Stellamarina, tutta curiosa, incontrò Dispettina e le disse: “Per favore, fatina, puoi aiutarmi e fare sì che io possa nuotare come i pesci….”. La fatina Dispettina,, che si chiamava così perché era un po’ dispettosetta, le rispose: “Io ti potrei aiutare, ma tu mi devi dire la parola magica” “E qual è?”, chiese speranzosa Stellamarina. “Se vuoi conoscerla, disse la fatina Dispettina, devi superare una prova. Dovrai incontrare un meraviglioso principe, tutto vestito di velluto azzurro e con le mutande rosse a pallini bianchi, e dirgli che io lo amo…. Se anche lui mi amerà, allora io ti rivelerò la parola magica che ti farà ricrescere una coda lunga, lunga, lunga come quella che avevi”.
Stellamarina andò allora in direzione del castello dove viveva il famoso principe azzurro colle mutande rosse a pallini bianchi. Risalì il fiume, nuotando sempre colla testa fuori dall’acqua, e alla fine giunse nelle acque del fossato che circondavano il castello. Alla mattina, quando il principe di affacciò dalla finestra della sua cameretta, vide nuotare nel fossato una stupenda fanciulla: era Stellamarina. Si tolse il pigiama, e con le sue mutande rosse a pallini bianchi si buttò con un meraviglioso tuffo ad angelo nelle acque del fossato.

Come si divertirono quei due!!! Nuotarono, si schizzarono, si lanciarono ranocchie, e alla fine esausti si misero a nuotare sul dorso. Solo allora il principe azzurro colle mutande rosse a pallini bianchi si accorse che quella che aveva creduto una fanciulla in realtà era una bellissima sirena. La sirena intanto aveva smesso di divertirsi ed era molto preoccupata, perché il fossato era pieno di pesci-gatto e lei aveva paura che le mangiucchiassero ancora la coda. Anche il principe non sapeva bene cosa fare, perché di sirene non ne aveva incontrate molte, anzi quella era la prima, e non capiva se doveva chiedere la sua mano o invece chiamare il cuoco del castello per farsela cucinare, perché lui adorava il pesce arrosto. Solo allora Stellamarina si ricordò perché aveva cercato il principe: “Senti principe, è stato bello giocare con te, ma la ragione per cui sono qui da te è che dovrei convincerti ad amare una fatina un po’ dispettosa, in modo da convincerla a dirmi la parola magica che mi farà ricrescere la coda..” “Ma che sciocchezza, disse il principe, tu non hai bisogno di nessuna parola magica, visto che sai già nuotare benissimo anche con la coda mangiucchiata, e io non posso innamorarmi di nessuna fatina, perché a me serve una bella moglie in carne ed ossa, che mi dia almeno quattordici figli e faccia sempre tutto quello che voglio….” Allora Stellamarina si accorse che sotto quelle mutande rosse a pallini bianchi c’era un principe davvero stupidotto, e se ne nuotò di nuovo fino al mare. Quando raccontò alla fatina quello che il principe aveva detto lei si arrabbiò così tanto che trasformò il principe azzurro in principe marrone, e marroni diventarono anche le sue mutande, per cause naturali….
Per ricompensare Stellamarina dei suoi sforzi Dispettina le rivelò comunque la formula magica: “Ricorda bene, Stellamarina, è una frase potentissima, perché ogni volta che la pronuncerai non solo potrai nuotare come un pesce, ma potrai ottenere tutto quello che vuoi. La formula magica è ‘io ci posso riuscire, se ce la metto tutta’. Ripetila una, due, dieci, cento, mille volte se necessario, e vedrai che ci riuscirai…” E Stellamarina, provando a nuotare come un pesce, cominciò a ripetersi “io ci posso riuscire, se ce la metto tutta’, e lo ripeté tante di quelle volte e si impegnò così tanto che alla fine ci riuscì davvero, e tutte le sue amiche sirene la salutarono con un grandissimo abbraccio mentre facevano capriole in fondo  al mare.

domenica 30 agosto 2009

LA STORIA DELLA GATTINA FUCSIA E DEL SUO AQUILONE

C’era una volta mamma gatta tigrata che aveva sette gattini di tutti i colori: gattino nero, gattino rosso, gattino verde, gattino azzurro, gattina rosa, gattina bianca e gattina fucsia. Questi gattini erano sette diavoli scatenati che ne combinavano sempre di tutti i colori, proprio come loro. Una volta la gattina bianca mangiò tanta di quella cioccolata che passò tutta la notte al gabinetto. Una volta il gattino nero si bruciò la coda nel caminetto mentre aspettava babbo natale e finì all’ospedale. Una volta la gattina rosa mentre faceva la pipì cascò dentro il gabinetto e rimase incastrata e dovettero chiamare gli idraulici per liberarla. Un’altra volta ancora la gattina bianca rimase tutta la notte a leggere un libro e il giorno dopo si addormentò sul divano e la mamma dovette portarla in braccio nel suo lettino col suo libro ancora appiccicato al musetto. Una volta il gattino verde mentre andava con l’altalena decise di oscillare sempre più forte, sempre più forte finché fece un gran volo e si fece male al nasino.

Un bel giorno i gattini decisero di costruire un aquilone.

“E’ bellissimo, lo faremo volare su nel cielo, e farà amicizia con le nuvole, con il sole e con il vento” disse il gattino nero.

Allora i gattini presero due bastoncino, un po’ di carta e di cordino, e seguendo le istruzioni di un libro fabbricarono un bellissimo aquilone di tutti i colori, proprio come loro. Poi presero la rincorsa tenendolo in alto e l’aquilone prese a volare alto nel cielo.

“Com’è bello, com’è bello”, dissero i gattini.

“E come tira!” aggiunse il gattino nero che lo reggeva con un filo “sembra quasi che mi voglia trascinare sù, nel cielo con lui”.

Allora la gattina fucsia ebbe un’idea. Pensò: “Se costruisco un aquilone grande grande, potrò volare anch’io nel cielo”. Allora tornò in casa, prese due bastoni lunghi lunghi che servivano per togliere la polvere e le ragnatele e li legò tra loro, poi staccò le tende e le tagliò per fare la forma di un aquilone, poi prese una corda lunga lunga che serviva a legare i pacchi all’automobile e la legò all’aquilone. Era fantastico: un aquilone grande così non si era mai visto, sembrava una barca a vela!!!

Allora la gattina fuscia andò in giardino, ma l’aquilone se ne stava appoggiato sul prato e non ne voleva sapere di volare.

“Vola, aquilone, perché non ti sollevi?” chiese la gattina. A un tratto si levò un gran vento e l’aquilone grande come un nuvolone si sollevò nel cielo e oscurò il sole.

“L’eclissi, l’eclissi!!!”, urlarono tutti i gattini.

“Ma no, è solo il mio aquilone”, disse la gattina fuscia.

“Ma è grande come una luna” osservarono tutti gli altri gattini ammirati.

ma proprio in quel momento si alzò un grandissimo vento di bufera e l’aquilone trascinò per aria la gattina fuscia, che si mise a urlare: “aiuto, aiuto, sto volando troppo in alto, vedo gli uccellini giù in basso, vedo i fiumi, vedo la città in lontananza, vedo la bicicletta rossa che il gattino nero mi aveva nascosto nel bosco. Ma non riesco più a scendere!!! Aiutatemi a tornare giù, prima che voli troppo lontana!!!!”.

Allora i gattini si misero tutti a rincorrerla per i prati e per i boschi, ma lei volava troppo alta. Quando si abbassò un pochino, il gattino nero l’afferrò per la coda, ma un soffio di vento sollevò anche lui per aria. “Aiuto, aiuto, volo via anch’io” urlò il gattino nero spaventato. Allora gli altri gattini continuarono a inseguirli, e quando il gattino verde acchiappò il gattino nero per la coda sembrò che la missione fosse compiuta. Ma non avevano fatto i conti con il vento: un altro soffio più forte e anche il gattino verde volò per aria, attaccato alla coda del gattino nero che era attacato alla coda della gattina fuscsia, che era attaccata all’aquilone. Ma quando si abbassarono di nuovo, il gattino rosso si attaccò alla coda del gattino verde per un attimo, prima che il vento sollevasse di nuovo l’aquilone e con lui la sua coda fatta di gattini di tutti i colori. E poi si attaccò il gattino azzurro, e poi la gattina bianca, e tutti volavano per aria sventolando come un arcobaleno di pelo. Era rimasta sola la gattina rosa, che correva inseguendo l’aquilone e tutti i suoi gattini che urlavano “aiuto, soccorso, tirateci giù, soffriamo di vertigini”. Per fortuna, quando anche la gattina rosa afferrò per la coda la gattina bianca, il vento si calmò un pochetto e l’aquilone piano piano si posò per terra, e con lui tutti i gattini impauriti. Ce ne misero di tempo per tornare a casa, arrivarono che era quasi notte e mamma gattona stava iniziando a preoccuparsi.

“Ma dove eravate finiti?” chiese.

“abbiamo fatto un voletto con l’aquilone”, disse la gattina fuscia.

“Come sarebbe, un voletto? Un volo vero? Come gli uccelli o le farfalle” chiese ancora mamma gattona.

“ Sì, proprio così, anche se volavamo veloci come un aereoplano” dissero in coro i gattini.

“Oh povera me, mi sento male, mi sento svenire” disse mamma gattona, e furono le ultime parole prima di svenire per lo spavento. Putupumpete, e cadde per terra.

“ma guarda”, disse allora la gattina fuscia, “noi gattini abbiamo volato tanto, ma a cadere giù è stata la mamma…”